Art Passion - il Rifugio degli Artisti

Il pagliaccio depresso, Breve racconto

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Rimad
view post Posted on 5/10/2012, 07:30




Un urlo di gioia rimbomba nel grande cerchio del circo, al cui centro un pagliaccio sorridente si inchina di fronte a tale approvazione. Accoglie a sé le risa, i complimenti, ma pure gli insulti, le battutine di chi non era proprio in vena di sorrisi e che, nonostante ciò, ha comprato il biglietto che tiene sudaticcio nella tasca dei pantaloni. Il pagliaccio, con un ultimo inchino, si rintana nel suo camerino. Percorre un lungo corridoio tinto di rosso, scuro come la sua parrucca; si mimetizza con le pareti, a vederlo non sembrerebbe un re della comicità: ha il passo scattante e nervoso, quello di chi non vede l’ora di sparire, di chi vuole nascondere la verità scolpita sul suo viso, tra le pieghe delle rughe più pronunciate di come vorrebbe. Sbatte la porta con violenza e si affretta a raggiungere un lavandino punteggiato di calcare e ruggine. Si aggrappa al bordo con mani tremanti, quasi a voler sradicare la fonte d’acqua artificiale. Il petto s’alza e s’abbassa a distanza di attimi, troppo vicini per poter affermare che quel pagliaccio stia solo riprendendo il fiato perduto; la sua gola fischia, come se l’aria che entra dalle sue ritmiche inspirate, fosse in parte bloccata da un muro invisibile, con appena un pertugio sottile a fare da varco. Alza la testa verso lo specchio del lavandino; sembra fissarlo un fantasma: una maschera bianca di cera copre il pallore del suo viso, è sbavata appena sotto gli occhi, in rigagnoli fini che scavano le guance butterate dal vaiolo. Gli occhi umidi sono iniettati di un rosso che sembra pulsare dai capillari attorno all’iride verde. Le labbra sono distese in un ghigno rabbioso, screpolate e tagliuzzate. L’acqua scorre: non ricorda quando l’ha aperta, è concentrato sulla stretta che stritola il suo muscolo cardiaco. Si porta una mano al petto e ascolta in silenzio il cuore che tossisce; con l’altra apre un flacone di medicinali bianchi, comparso magicamente tra le dita. Inghiotte tre pillole, poi ci ripensa e ne trangugia una quarta. Ad incorniciare il suo viso si aggiungono le gocce di sudore, fredde come le mani stese lungo i fianchi; è un male coriaceo quello che si è impadronito del suo corpo, un malessere che non dovrebbe affliggere un pagliaccio come si deve: depressione. Ora pensa a quanto quel termine riveli più di quello che si crede: a cominciare dalla particella “de“, di origine latina, che indica privazione, mancanza; in tal caso, perdita di pressione, di slancio alla vita. L’ironia dell’esistenza ha voluto che il pagliaccio sia costretto a far ridere la gente, quando dentro di sé quelle risate, che sente prorompere da una folla di tanti anonimi come lui, suonano come versi strozzati; allegria spensierata che non sa definire: ha dimenticato qual è il suo sapore. Sono note dolenti che alimentano un’ira animalesca, la primordiale spinta alla distruzione. Il pagliaccio non ride mai sul serio, lo fa solo per mestiere, perché è l’unica cosa che sa fare. Il pubblico lo guarda e sospira: “magari essere sempre così allegri e spensierati. A noi ci tocca vivere nel caos cittadino.” Quei tendoni tutti colorati, leggeri come i suoi saltimbanchi e pronti a farsi in mille pezzi per affrontare un nuovo viaggio, alimentano una malinconia, una vaga nostalgia della vita semplice, lontana dalle complicazioni burocratiche e non, nelle quali si sentono ingarbugliati. Ma il pagliaccio non si sente fortunato: recita una parte che non gli appartiene, finge ogni giorno per guadagnarsi il pane. Vorrebbe aggredire tutti quei volti sereni, strappar loro quella smorfia che chiamano sorriso: perché dovrebbe essere felice per la felicità degli altri? È umano odiare chi sta meglio di te, che soffri come un dannato nel girone più profondo dell’Inferno; è umano augurargli il peggior male possibile. Non è umano ritenere di non serbare rancore, di non essere per nulla scossi dalla felicità che sembra appartenere solo agli altri. A questo pensa il pagliaccio, mentre la lama affilata del rasoio incide il suo pomo d’Adamo… no, è solo un pensiero che frulla nella sua testa: è troppo codardo anche per morire.
 
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